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LE COPERTINE DEI LIBRI DI ARGAN

 

 

 

Giulio Carlo Argan
 

L'architettura italiana del Duecento e Trecento,

 

 

Nemi, Firenze 1937

 

Sommario del volume

Premessa

L'architettura italiana nel Duecento e nel Trecento.

- Correnti del Gotico d'Oltralpe in Italia; loro varia interpretazione; determinazione dei caratteri stilistici dell'architettura italiana nella Lombardia, nell'Emilia, nel Veneto.

- L’architettura del Duecento e del Trecento nell'Italia centrale, meridionale, in Sicilia.

L'architettura civile.

 

Riedizione 1978

 

Giulio Carlo Argan,

L’architettura italiana del Duecento e Trecento ,

"Universale di Architettura, diretta da Bruno Zevi, n. 15/16",

Dedalo Libri, Bari 1978.

Al volumetto è aggiunta una nuova Premessa (datata: Roma, 10 ottobre 1978). Nella stessa collana è riedito anche l'altro dei due volumetti NEMI di Argan: L’architettura protocristiana, preromanica e romanica.

 

 

Premessa alla riedizione 1978

 

Non posso ricordare senza commuovermi i vecchi fascicoli di storia dell’arte delle Edizioni Nemi e l’ottimo dottor Cherubini, che della serie era l’inventore e l’attentissimo curatore.
Tra il Trenta e il Quaranta furono in Italia le prime pubblicazioni d’arte divulgative ed economiche (un volumetto costava cinque lire) impostate su una base scientifica e concepite secondo le più attuali vedute critiche. Innegabilmente la serie di quei volumetti fece fare agli italiani un bel passo avanti nella conoscenza del loro patrimonio monumentale ed artistico, nonché nell’intelligenza dei valori visivi.
La giovane critica d’arte, a cui appunto il Cherubini ebbe la buona idea di rivolgersi, era allora tutta idealista e crociana, benché già con una spiccata tendenza verso la critica formalistica o della
«pura visibilità» di cui Lionello Venturi a Torino e Matteo Marangoni in Toscana erano i pionieri. Poiché, fin dagli anni dell’Università (a Torino, col Venturi) mi ero occupato di architettura e poiché, alla Scuola di Specializzazione di Roma, ero stato allievo di Pietro Toesca, a me toccarono i due volumetti sull’architettura paleo-cristiana, romanica e gotica in Italia. Il Medioevo del Toesca, appunto, è stato la falsariga (né poteva essere altrimenti) nella mia analisi, inevitabilmente sommaria, di
quei periodi storici.
 
Ho voluto ricordare i miei maestri, non soltanto per una gratitudine tutt’altro che spenta, ma per spiegare anzitutto perché abbia accettato di ripubblicare i due volumetti a più di quarant’anni di distanza, poi perché abbia ricusato di cambiare anche soltanto una virgola. Ho ricusato di cambiare non certo perché abbia la presunzione di credere definitive le cose scritte allora, ma per la ragione contraria: a rimetterci le mani per tentare di aggiornarli allo sviluppo degli studi sul Medioevo e del mio stesso modo di fare critica, avrei dovuto cambiare tutto. Ho tuttavia ceduto all’invito pressante di un grande storico dell’architettura, di me tanto più giovane, Bruno Zevi, perché credo davvero che, nella loro modestia anche editoriale, quei due vecchi libretti abbiano contribuito a mutare le inveterate abitudini di quella ch’era allora la critica ufficiale dell’architettura. Era ancora ancorata agli scaduti temi della decadenza medievale e della riconquista della classicità nel Rinascimento, alla storia degli «stili» e delle tecniche costruttive, alla ricerca d’archivio, al mito deleterio del restauro ricostruttivo e dell’isolamento del monumento. Era scorretto pensare che l’architettura fosse l’espressione di concezioni dello spazio che mutavano coi tempi, il fattore determinante degli ambienti urbani, la testimonianza visibile delle successive strutture organizzative della società e del lavoro. I volumetti Nemi, e non soltanto i miei, concorsero a diffondere un modo nuovo dì vedere e capire l’architettura: per una volta l’impulso di rinnovamento del lavoro scientifico mosse dal basso, da una divulgazione non compilativa né sprezzante del vasto pubblico a cui si rivolgeva. E fu non piccolo merito di chi inventò quella collana scopertamente ma non didascalicamente popolare affidarsi a quella ch’era allora in Italia la nouvelle vague della storiografia dell’arte.

Roma, 10 ottobre 1978

G.C.A.

 

 

[Riproduzione delle due pagine della Premessa]